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Lo “Sharenting”

Lo “Sharenting”

 Sharenting è un neologismo (share + parenting) che tiene insieme la condivisione e la genitorialità.
 E’ coniato per descrivere un fenomeno, che riguarda i genitori, i figli e l’uso che fanno dei social network. Si tratta di un’abitudine diventata molto diffusa con l’avvento delle piattaforme digitali, che comporta però non pochi rischi sia per il bambino sia per le mamme e i papà.
 Sappiamo che l’uso dei social network si è diffuso a livello globale, tanto che molte persone condividono opinioni, foto e video per rappresentare in questo grande palcoscenico, che è la rete, dettagli della loro vita quotidiana, del loro privato. Pubblicare su Facebook, Twitter o Instagram è un fenomeno che si è andato via via sviluppando  nell’arco degli ultimi dieci anni. 
 
 Nel tempo, tali piattaforme, sembrano influenzare sempre di più le nostre vite, ma negli ultimi anni, cominciano ad emergere voci critiche, che mettono in guardia dagli aspetti  più oscuri della rete: la disinformazione, la manipolazione delle opinioni, la presenza di fake news.
 
 Qui ci interessa approfondire lo sharenting, un fenomeno che descrive la tendenza dei genitori a sovraesporre i bambini e gli adolescenti sulle piattaforme digitali: non è mai esistita nella storia dell’umanità, nulla del genere nei confronti dell’infanzia, le “impronte digitali” dei bambini (ecografie, pappe, bagnetto…), si imprimono in rete prima che questi imparino a camminare.
 
 Per circoscrivere il campo va specificato che lo sharenting non è la pubblicazione di post, con le foto dei bambini, una volta ogni tanto, ma si intende invece l’abitudine a farlo in maniera ripetitiva e compulsiva. 
 
 Il problema non è condividere in se, ma si tratta di stabilire i confini, sapere cosa e quanto condividere. I Genitori e le altre figure di riferimento devono acquisire la consapevolezza che tali foto e tali commenti possono essere visti da chiunque, data le pervasività dei social media e ciò può avere serie conseguenze.
 
 Che cosa sarebbe successo a un personaggio come Tom Sawyer se fosse vissuto ai giorni nostri? Si chiede nel suo libro “Why WeShould Think before We Talk about Our Kids Online” la Plunkett .
 Tom Sawyer è un irrequieto e fantasioso ragazzo rimasto orfano e costretto vivere con la zia Polly e il fratellastro Sid nella città di St. Petersburg, lungo il fiume Mississippi. Tom marina la scuola, si azzuffa con un bambino appena arrivato in città, scoperto scappa, torna a casa molto tardi, ha i vestiti strappati. Nell’America dei nostri giorni si sarebbero attivati gli insegnanti della scuola, i servizi sociali e la polizia, sarebbe stato monitorato in rete. E, nel caso in cui si fosse arrivati alle vie legali, Tom avrebbe fornito tutte le prove necessarie per essere definito un delinquente, raccontando le sue avventure su Instagram, Snapchat e altre piattaforme digitali, in pratica lo stesso Tom avrebbe fornito le prove contro se stesso.
 Invece Tom Sawyer, nel libro, viene scoperto dalla zia Polly la quale, vedendo i suoi vestiti strappati, lo rimprovera e gli infligge una severa punizione corporale,  ma  la plunkett non si vuole concentrare su Tom Sawyer, il focus è la zia Polly. La figura della zia Polly, ci consente di riflettere sulle trasformazioni di ruolo di chi educa, cresce, accompagna i bambini nelle fasi dello sviluppo. Zia Polly è una Sharent. Oggi avrebbe scritto su Facebook: “Tom!!! Luci blu che lampeggiano davanti alla finestra della mia stanza da letto. Stanotte i poliziotti mi hanno svegliato di nuovo”.
 In sostanza avrebbe esposto pubblicamente le sue angosce, senza riflettere sulle conseguenze che possono esserci, nel narrare le disavventure del nipote, condividendole in rete.  Non sapendo che condividere informazioni di un minore potrebbe condizionarne l’identità che ricordiamo, è un processo in divenire.
 
 Questa storia ci invita a riflettere su come i genitori, insegnanti e altri caregiver pubblicano, trasmettono e memorizzano dati digitali sui bambini e adolescenti, non rispettando la loro privacy, mettendone a rischio le potenzialità attuali e future, così come la loro capacità di sviluppare il proprio senso di sé. Possedere un “locus”, un nostro rifugio senza che ci siano interventi o interruzioni indebite sono una “conditio sine qua non”, affinché i bambini costruiscano la loro identità.
 L’infanzia e l’adolescenza sono le fasi di vita in cui il gioco è essenziale: esplorare e sperimentare sono basilari per lo sviluppo e l’autonomia. I bambini e gli adolescenti dovrebbero avere spazio per giocare e per poter sbagliare. Fare e imparare dagli errori non solo è inevitabile, ma è addirittura benefico.
 Soprattutto nei primi anni, quando i confini tra l’immaginario e il reale sono labili. 
 
Dobbiamo lasciare ai più giovani una maggiore libertà, per consentire il viaggio verso la scoperta di se stessi.
 
 Al contrario, nel sovraesporre i bambini, di fatto, si abbatte la barriera tra pubblico e privato, offrendo ad una moltitudine di  sconosciuti, le loro emozioni, i loro ricordi. In questo modo non solo si fa un danno, minando lo sviluppo armonico nel presente, ma si rischia che i bambini, una volta cresciuti, possano non gradire la loro precedente esposizione mediatica.
 I genitori dovrebbero rispettare i confini, riguardo a quali tipi di post possono essere condivisi, con che frequenza e con chi. Inoltre, dovrebbero chiedere il permesso prima di pubblicare post sui propri figli.
 
 Non si afferma qui che i genitori agiscono per produrre consapevolmente un danno alla prole, piuttosto si vuole proporre una riflessione sulla genitorialità. I genitori hanno il piacere di condividere le foto dei loro figli con familiari, amici e conoscenti ed è molto più immediato per loro utilizzare uno strumento di diffusione così ampiamente adottato, che peraltro genera un senso di accettazione e appartenenza al gruppo; probabilmente il bambino è semplicemente un veicolo per la rappresentazione dei genitori.  
 
 In che modo incide lo stile genitoriale? che tipo di condivisione si pratica in famiglia ? come ci dice il prof Ammanniti: “La condivisione dei luoghi, delle abitudini, degli argomenti, ha reso la distinzione fra genitori e figli molto più sfumata di una volta, condividiamo con i figli i modi di vestire, i gusti, i comportamenti, Genitori che faticano a diventare adulti e figli che faticano a crescere, tutti insieme formano la “famiglia adolescente”. Nella condivisione dovrebbe essere implicita la capacità di fare scelte individuali in relazione a se e ai propri figli invece sembra che sia i genitori che i figli siano soli, chiusi in se stessi, abbiano perso l’idea dell’alterità della dimensione sociale del vivere, e questo li spinge, per mostrarsi, ad apparire, ad essere visibili. I social network diventano lo strumento elettivo del rappresentarsi.
 
 Sembra che il condividere abbia sostituito il processo del divenire tipico del percorso di sviluppo della vita di un bambino, si è persa quella intimità che è la base per lo sviluppo armonico dell’identità. La rete diventa il luogo del qui e ora un eterno presente. Siamo ormai orientati a pensare solo a quello che potrebbe succedere nei prossimi momenti, ore, o giorni, ma ci sfuggono gli anni e il medio – lungo periodo.  
 
 Inoltre quando si pubblica on line, mamma e papà pensano che non ci sia nulla da nascondere, non sono consapevoli di quali e quante informazioni si condividono né di chi possa essere interessato a quei dati,  con che fini e quali possano essere le conseguenze:  come i pesci della storiella raccontata da David Foster Wallace, essi nuotano nel mare ma non sanno cos’è l’acqua.
 Quando usiamo i social network ci serviamo di loro gratuitamente, o meglio pagando con i nostri dati, siamo utenti di un servizio e non clienti, cioè accettiamo delle condizioni  d’uso, ma non firmiamo un contratto e di fatto  le loro responsabilità sono fortemente limitate.
 
 La responsabilità genitoriale dovrebbe invece rimanere ben salda  mantenere il controllo dei dati che riguardano i propri figli. Non si dovrebbero cedere informazioni preziose dei propri cari, pensando che comunque i servizi siano gratuiti, anche perché in realtà i provider utilizzano i dati in una logica di profitto.
 
 C’è una frase che riassume come gestire queste situazioni: non condividere online nulla che non condivideresti pubblicamente. 
 
Pertanto a questo punto, ci dobbiamo chiedere come si contrasta il fenomeno dello sharenting?
 
 In prima istanza i genitori dovrebbero utilizzare le piattaforme digitali con maggiore consapevolezza e conoscere i principi giuridici fondamentali che incidono sul funzionamento della rete. In particolare, a riguardo, si forniscono una serie di raccomandazioni per aiutare i genitori/caregiver a districarsi in questo panorama e gestire adeguatamente le informazioni che condividono online: 
 
I genitori
  • dovrebbero conoscere meglio le politiche sulla privacy dei siti in cui condividono le informazioni. 
  • dovrebbero impostare notifiche per avvisarli quando il nome del loro bambino appare nei motori di ricerca (ad es. Avvisi di Google).
  • dovrebbero usare le dovute  cautele prima di condividere la posizione geografica o il nome completo dei propri figli
  • non dovrebbero  condividere informazioni sui problemi di salute o sulle malattie dei propri figli  trattando  tali temi  in forma anonima
  • dovrebbero dare ai propri figli “potere di veto” sulle informazioni online.
  • non dovrebbero condividere foto che mostrano i loro figli in qualsiasi abbigliamento come ad esempio le foto durante  il bagnetto
  • dovrebbero considerare l’effetto che la condivisione può avere sullo stato attuale e futuro dei propri figli. 
 Porre attenzione alle informazioni che si condividono online, sui bambini, questo è un modo per prendersi cura di loro, e favorirne il sano sviluppo.  
 Bisogna premere pausa per un momento prima di pubblicare, scorrere, scansionare o caricare qualsiasi cosa che riguarda i minori.
 
   
           Internet deve dimenticare. Noi dobbiamo ricordare.

Bibliografia
– Lea Plunkett ,Why We Should Think before We Talk about Our Kids OnlineMIT Press, 2019
– Massimo Ammaniti,  La famiglia adolescente,  Laterza, 2015
 

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